All'interno del cortile dell'ospedale, alla sommità di un maestoso scalone di piperno, s’impone al visitatore la facciata della chiesa della Trinità dei Pellegrini.
Nel 1582 l’Arciconfraternita riceve i diritti sull’ospedale, la chiesa di S. Maria Materdomini, gli edifici annessi con la facoltà di fabbricare nello stesso luogo l’oratorio, dalla famiglia Pignatelli.
I pellegrini, gli ospiti del complesso, ed anche i fratelli diventano sempre più numerosi, cresce quindi anche l’esigenza di nuovi ambienti, più adeguati a sostenere un’opera che diventa sempre più complessa. La chiesa edificata per ampliare il primo Oratorio destinato dalla fine del Cinquecento a luogo di culto dell’Arciconfraternita, dal 1618 riconosciuto come chiesa aperta al pubblico, testimonia le vicende e l’opera della congrega nel continuo costruire di una comunità che per secoli ha lavorato sotto la legge del sentimento di fratellanza.
Il portale è incastonato tra quattro lesene corinzie, sormontate da un timpano triangolare e fiancheggiate, all’estremità, da due piccole piramidi in asse sulle lesene laterali. Un rigoroso disegno classico anticipa il vigore e la linea interna della chiesa. Stucco e piperno si alternano nel rivestimento; il piperno sostiene e comprime la facciata verso il basso, gli stucchi alleggeriscono la struttura, lasciano scivolare la luce, trattenuta a tratti nei piccoli vuoti e nei pochi rilievi. Ai lati dell’ingresso della chiesa due nicchie ospitano le statue di San Gennaro e San Filippo Neri, opere dello scultore Angelo Viva.
La grande navata, che riprende la pianta ottagonale adottata per la Terrasanta e il Coro, è sormontata dai monocromi di Melchiorre de Gregorio raffiguranti i quattro evangelisti che adornano la cupola. La scelta della pianta ottagonale “piuttosto che confluire nell’alveo di una tendenza del gusto tardo barocco, risale verso fonti più remote, quali l’allegoria medioevale dell’octavo dies. Nell’arcaica iconologia cristiana l’ottagono veniva ritualmente adottato come forma simbolica della resurrezione delle anime, contenendo nella sua intrinseca geometria un lato ottavo, allegoria del giorno del giudizio divino al di là dei sette giorni della vita terrena” (Benedetto Gravagnuolo, Un percorso tra storia e arte, Rolando editore, Napoli 2006)
Sul presbiterio, alle spalle dell’altare maggiore realizzato dal Gioffredo, in marmo policromo, e ampliato da Carlo Vanvitelli per adattarlo alle nuove dimensioni della chiesa, un arco ospita l’imponente gruppo scultoreo, ancora di Angelo Viva, che rappresenta la Trinità e separa la chiesa dal Coro dei confratelli: realizzato prima della chiesa, su progetto dell’ingegnere Giovan Antonio Medrano, è completato dall’architetto Giuseppe Astarita che ne crea gli ornamenti, gli stucchi e l’arredo ligneo.
Il lungo e articolato processo d’edificazione si conclude con la costruzione della chiesa attuale. Eseguita da Carlo Vanvitelli, tra il 1792 e il 1796, arriva alla fase conclusiva raccogliendo nella sua formulazione finale vicende costruttive e progettuali antecedenti. Il corpo mantiene la lunghezza della chiesa cinquecentesca mentre per ampliare il suo sviluppo in orizzontale si abbattono alcune strutture e si utilizza la parte di un giardino attiguo concesso alla confraternita della famiglia Pignatelli.